USA, Boston. Il MIT conferma: Olmechi, Maya e Aztechi le prime star del pallone
Quando
gli Spagnoli sbarcarono nel nuovo mondo trovarono “atleti” aztechi di
stupefacente abilità nel contendersi una sfera fatta con un materiale
sconosciuto in Europa. Dorothy Hosler e Michael Tarkanian del Massachusetts Institute of Technology
(MIT), studiano da oltre dieci anni i materiali utilizzati dagli
antichi abitanti dell’America centrale per realizzare i palloni di
gomma. Il materiale era ottenuto mescolando la linfa dei locali alberi
di lattice, o Castilla elastica, al succo dell’Ipomea alba, come riferito in un articolo pubblicato su Science
nel 1999. A seconda della quantità dell’uno o dell’altro ingrediente
si potevano ottenere qualità di gomma differente per prodotti
differenti. Un rapporto 1:1 dava una gomma elastica ideale per la
realizzazione delle palle, mentre un rapporto 3:1 forniva una gomma più
resistente ed ottima per la produzione di sandali. La nuova ricerca
sarà presto pubblicata sulla rivista Latin American Antiquity.
Come
per il calcio ai giorni nostri, le competizioni mesoamericane avevano
dato vita ad una fiorente industria ed i palloni di gomma venivano
utilizzati anche come moneta per il pagamento dei tributi. Un documento
amministrativo di Montezuma, ultimo re azteco, riporta la notizia che
tra i tributi ricevuti dal sovrano vi erano 16.000 sfere di gomma ogni
anno.
Il
“gioco” con questi palloni era comunque praticato in America centrale
da almeno il XV secolo a.C., data alla quale risale la più antica
struttura costruita per questo scopo. Gli Olmechi (ca. 1400-400 a.C.),
il cui nome significa “popolo di gomma” in Nahuatl (la lingua
azteca), sono stati probabilmente i primi assidui giocatori. A
testimoniarlo sono i ritrovamenti di pitture parietali, di campi da
gioco sterrati e persino di resti di antichi palloni in gomma.
Alle
arene sterrate si aggiunsero anche strutture con pavimentazione in
pietra e pianta ad I o a T, delimitate da due sponde inclinate o
verticali. A Cantona, in Messico, sono state ritrovate 24 costruzioni di
questo tipo, nonostante solo una minima parte del sito sia stata
scavata. A Teotihuacan sono invece state scoperte pitture murali
raffiguranti scene di gioco.
Le
regole sono sconosciute o quasi, come pure l’organizzazione degli
eventi. A differenza dei moderni stadi per il calcio di dimensioni
standard, i campi antichi avevano grandezze molto variabili. Tra quelli
conosciuti il più grande è quello di Chichen Itza, che supera i 170
metri di lunghezza, mentre a Copan arriva ad appena 30 metri. Alcuni
avevano degli anelli di pietra posti sulle pareti laterali, in cui
presumibilmente i giocatori dovevano riuscire a far passare la palla, ma
molte altre strutture ne erano prive e bastava far andare la sfera
oltre una linea. Come nel calcio, non era consentito prendere il pallone
con le mani, mentre era lecito utilizzare gambe, fianchi e testa. I
contendenti indossavano protezioni costituite da fasciature di pelle e
talvolta da elmetti per proteggere gli arti e la testa dallo sfregamento
causato dalla palla, che poteva arrivare a pesare anche alcuni chili.
Il
gioco non si limitava ad avere una mera funzione di intrattenimento,
ma era carico di significati rituali. La palla avrebbe rappresentato un
corpo celeste, il sole forse, ed il suo movimento sul terreno il
passaggio dell’astro nel cielo. Molte rappresentazioni sembrano
testimoniare che alla conclusione della sfida si svolgeva un sacrificio
umano, probabilmente di prigionieri di guerra costretti a gareggiare
dopo essere messi in condizioni di perdere. Il gioco del pallone figura
anche nella mitologia maya. Nell’opera epica del “Popol Vuh” si narra
che i signori degli inferi sfidarono al pallone una coppia di fratelli
gemelli, che persero e vennero sacrificati. Dopo essere morti scesero
agli inferi, dove questa volta sconfissero ed uccisero i signori. Fatto
ciò i due gemelli divennero il sole e la luna, mentre loro padre
sepolto nell’arena da gioco divenne il mais, principale fonte di
sostentamento e simbolo di fertilità. Il gioco è quindi inteso anche
come parte integrante del ciclo della vita, morte e resurrezione che
permea la religione mesoamericana.
Immagine: cortesia University of Nevada
Articolo: archeorivista.it/
Articolo: archeorivista.it/
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